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canto secondo 341


205ai greci legni e ritrovò di poi
l’uguale per consiglio a Giove Ulisse.
Ei non moveasi, né la ben costrutta
nave toccava, poiché acerbo al cuore
gli era giunto dolor. Fattasi appresso
210l’occhiglauca parlò in tai sensi Atena:
— Di Laerte almo figlio, astuto Ulisse,
cosi dunque fuggirsi al patrio suolo
ne le navi saltando, e a Priamo il vanto
ed Elena ai troian lasciare argiva,
215per cui si lungi da la propria terra
tanti in Troia perir greci? Or tu vanne
senza indugio e col tuo trattieni ognuno
piace voi dire, né permetter mai
che l’ambidestre in mar navi sien tratte. —
     220Si disse, ed egli de la diva i sensi
ben comprese e sen gi correndo e il pallio
gittò, cui prese Euribate l’araldo
d’Itaca che il seguia; ma egli incontra
ad Atride si fece e l’incorrotto
235prese da lui paterno scettro e andonne
de’ ferrocinti achei con esso ai legni
ed in qual s’avvenia degn’uomo o prence
con molli detti l’abbordava: — Amico
non si conviene a te, quasi un plebeo
230tu fossi o un vile, dimostrar paura;
t’arresta e gli altri ancor trattien, d’Atride
tu non comprendi ben la mente; ei forse
cosi ci prova e ci fará poi danno,
poiché non tutti ciò ch’e’ disse udimmo.
235In grazia ch’ei non rechi a’ greci guai.
Forte è l’ira d’un re dal savio Giove
nodrito e amato, ei tien da Giove il grado. —
Ognuno poi dei popolar che a sorte
incontrasse o che far rumore udisse
240il battea con la mazza e ’l rampognava:
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