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canto secondo 339


a l’Argicida il dié nunzio e a l’auriga
Pelope questi, e Pelope di nuovo
135ad Atreo il comun padre, il qual morendo
a Tieste il lasciò d’agnelli ricco
e Tieste ad Atride, accioché regno
in Argo tutta e in molte isole avendo,
il portasse. Volanti, a tal bastone
140appoggiandosi, ei fe’parole: — O amici,
greci marziali eroi, funesta e dura
troppo è l’impresa ove implicommi Giove
crudel che mi accennò prima e promise,
dopo espugnato il forte Ilio, ritorno
145ed ora vuol con tristo onor che in Argo,
tanto popol perduto, ecco io men rieda.
Ma così è in grado al prepossente nume
il qual genti atterrò superbe e molte
ne atterrerá con sua possanza estrema.
150Onta è certo, e sará ne’di futuri
ancor, che tale e tanto d’achei stuolo
pugnasse indarno, e contra pochi guerra
non conducesse a fin. Pur de l’evento
nulla traspira ancor; ché se vorremo
155de’ sacri giuri su la fede e greci
e troiani contarci, de’ troiani
quanti nativi son prendendo e noi
in decurie ordinandoci e a ciascuna
troico coppiere destinando, senza
160ne rimarran non poche; tanto vince
il numer nostro quel di lor. Ma accorsi
da cittá molte sono astavibranti
che me deludon, d’espugnar vietando
l’alta e folta cittá. Ben nove omai
165sono giá del gran Giove anni trascorsi,
giá de le navi imputridir le funi
e i legni infracidár, le nostre mogli
ed i semplici figli ne le afflitte