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336 dell’iliade di omero


nel padiglion dormendo. Soavemente
spandeasi il sonno intorno, sopra il capo
ei gli stette sembiante in tutto al figlio
dí Neleo Nestor, cui fra tutti onore
Agamennon rendea. Con sua figura
gli parlò il divin sogno: — O d’Atreo prole,
che fu si saggio cavalier, tu dormi?
Non dé’ mai nottintero uom di consiglio
o di stato posar, cui son commessi
popoli e cui tante son cose a core.
Or m’odi tosto, poiché a te di Giove
nunzio ne vengo il qual, se ben lontano,
prende di te pensier, sente pietate.
Ei vuol che a tutte le chiomate schiere
l’armi prender tu faccia, ch’ora è il tempo
d’espugnar l’ampia dei troian cittade;
imperoché gli dii che ne’ celesti
alberghi sono, piú fra sé contrasto
non fanno, gli piegò tutti Giunone
pregando, e strage a Troia aspra sovrasta
da Giove. Or ciò nel cor pónti, né oblio
ten prenda punto, allor ch’il dolce al fine
sonno disvanirá. — Dopo tai detti
partissi e lui lasciò cose volgente
fra sé che adempier non doveansi mai:
poiché di Priamo la cittá quel giorno
d’espugnar si pensò, folle! né seppe
quali Giove apprestasse opre, né come
e a’ troiani e agli achei con aspre e dure
battaglie orrendi era per dare affanni.
     Si riscosse dal sonno e la divina
voce gli risonò d’intorno. Sorse
e sedendo si mise delicata
tonaca ch’era nuova e bella, sopra
il grand’ammanto circompose, ai molli
piedi legossi i be’ calzari e intorno