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334 dell’iliade di omero


al tramontar del sol caddi, ben poco
restandomi ancor fiato: ivi da terra
la sintia gente mi raccolse. — Ei tacque,
e sorrise Giunon candida e prese
sorridendo la coppa. Ma egli agli altri
numi tutti non men, girando a destra,
versava il dolce nettare, attignendo
dal vaso. In molto riso i dèi beati
dieder veggendo nel palagio fatto
Vulcan sergente. Così il giorno intero
fino al cader del sol tenean convito,
né vivanda mancò degna, né ornata
lira cui Febo avea, né parimente
le Muse che a vicenda con soave
voce alternando si facean risposta.
Ma poiché tramontò la chiara luce
del sole, a sua magion ciascun sen giva,
u’ l’ambizoppo inclito nume eretta
con dotto magistero a ognun l’avea.
Al proprio letto, ove posare er’uso,
quando prendealo il dolce sonno, andonne
anche l’olimpio folgorante Giove,
sopra il quale ascendendo egli si giacque
e l’oriseggia accanto a lui Giunone.