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canto primo 331


che si breve avrá vita, onor concedi.
Ora Atride il gran re oltraggialo e il premio
suo gli tolse e’l ritien; però all’incontro
onorai tu, sapiente olimpio Giove.
Tanto a’ troiani dá valor che onore
rendere i greci e raddoppiarlo ancora
debbano al figlio mio. — Cosi dicea,
ma non rispose il nubipadre Giove
e muto stette un pezzo. Teti allora,
siccome prese le ginocchia avea,
cosi teneale abbracciate e di nuovo
ripigliò: — Il vero tuo senso mi spiega
e assenti o niega ancor, poiché riguardo
piú non hai, tal ch’io a pien conosca come
tra tutti i dèi la piú spregiata io sia. —
     Con profondo sospir favellò allora
Giove nubiadunante: — Pessim’opra
è questa tua, poiché odiosa a Giuno
mi renderai, la qual con aspri motti
suolmi irritar e giá per sé tra’ numi
riotta ognor, quasi a’ Troiani in guerra
diasi per me favor. Ma tu dá volta,
né differir, talché di te Giunone
non s’avvegga. Eseguir quanto dicesti
sará mia cura ed ecco, accioché fede
tu m’abbia, il capo io muoverò: supremo
è questo mio tra gl’immortali segno,
né rivocabil mai, né mai fallace
o vano è mai quant’io col capo accenno. —
Disse e co’ neri cigli il segno diede
e le chiome si mossero immortali
dal divin capo e ne tremò l’Olimpo.
Dopo tal ragionar si dipartirò;
ne’ profondi del mar dal chiaro cielo
quella saltò, Giove a’ suoi tetti andonne,
e tutti incontra al padre lor rizzarsi