Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/336

330 dell’iliade di omero


600preser sonno; ma allor che del mattino
figlia ditirosata apparve l’alba,
verso il gran campo acheo mossero ed aure
lor propizie mandò Febo. Inalzaro
l’albero e bianche dispiegar le vele
605sovr’esso, il mezzo ne gonfiava il vento
e ne l’andar del legno l’onda bruna
a la carena gorgogliava intorno.
Suo cammin fe’, le vie del mar correndo,
il ner naviglio, e giunti al campo, in terra
610su l’alta arena tiraronlo e sotto
lunghe trave ci stesero; ma essi
per le tende spargeansi e per le navi.
     Presso i veloci abeti intanto, d’ira
fremente ancor, l’egregio si tenea
615di Peleo figlio piévalente Achille;
né al parlamento che dá lustro a molti,
né in battaglia ir volea, ma si rodeva
internamente, né moveansi e strida
bramava e zuffe. Ma gli eterni dèi,
620giunta che fu la dodicesim’alba,
unitamente, precedendo Giove,
su l’Olimpo n’andár. Del figlio allora
Teti non obliò le brame e fuori
usci de Tonde e matutina ascese
625al vasto cielo ed a l’Olimpo. Il lungi
veggente ritrovò Saturnio scevro
dagli altri, di quel monte eccelso ed ampio
su la piú alta sommitá sedente.
Innanzi a lui s’assise e le ginocchia
630con la sinistra prese e sotto il mento
il vezzeggiò con la destra e pregando
al re così parlò saturnia prole:
     — Giove padre, se mai tra gl’immortali
con la voce e con l’opra util ti fui,
635questa mia brama adempir al figlio mio,