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canto primo 317


l’espugnerem placandolo. — Si assise
dopo questo, ed in pié tosto levossi
135l’altro signor Atride eroe, nel cuore
attristato e con mente per grand’ira
ottenebrata. Avea sembianti a fiamma
ardente le pupille, e pria Calcante
torvamente guatò, poi così disse:
140 — Dei malanni indovin, cosa che in grado
si fosse a me tu non dicesti ancora.
Sommo è a te sempre il predir guai diletto,
né buon presagio mai fatto o adempiuto
fu mai per te. Or declamando i greci
145oracoleggi, quasi tante Apollo
ci mandi angosce sol perché il riscatto
di Criseide i’ non volli, assai bramando
presso me averla, a Clitennestra mia
giá destinata e uguale a lei per certo
150d’indole, di sembianze e per lavori.
Ma non pertanto, se pur darla è il meglio,
darla i’ non niego; preservarsi io voglio
il popol, non perir; ma voi fra tanto
apprestatemi tosto altro compenso,
155ché senza parte ne la preda io solo
restar non vo’, né che ci resti è onesto:
il mio premio sen va, ben lo scorgete. —
Riprese allora il piévalente Achille:
— Supremo Atride, sovra ogn’altro sempre
160avidissimo, e come or nuovo i greci
premio daranti? Di ragion comune
esserci cose non sappiam riposte,
ma quanto in piú cittá predossi tanto
si divise, né giusto ora è per certo
165di far che ognun tutto ritorni in massa.
Costei però tu di presente al nume
coftcedi, ché da poi, se Giove mai
di debellar la benmurata Troia