Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/288

282 poesie varie


eran tolti, per cui da’ casi estremi
credeasi Europa or or secura a pieno.
Quanto è fallace immaginar terreno!
     Che se dovea si tosto esserne tolto
l’amato pegno, perché in quella salma
fecer natura e ’l ciel tutte lor prove?
Qual fu a mirar quel regio aspetto, e dove
piú vivi lumi e del valor de l’alma
videsi mai piú ben impresso un volto?
Ah ch’ei fra l’armi avvolto
certo sen giva un di, volgendo gli anni,
per gran possanza e per gran core altero
l’Asia superba a ricoprirvi d’affanni
e a far gridar mercede al turco impero.
O nostri voti assorti!
Non sia chi in Tracia la novella porti,
perché al nostro martir la gente infida
non insulti e nel duol nostro non rida.
     Ma il gran tesor che Parca empia ne fura
fra noi piangasi ogn’or, ché non fur visti
piú bei sospir, né fu piú giusto il pianto:
E benché in mesto aspetto e ’n fosco ammanto
gente infinita senza fin s’attristi
non agguaglia il dolor l’alta sventura.
Sorte spietata e dura!
Giacque il regio fanciul, qual fior sul campo
suol per crudo cader ferro reciso.
Duro veder la bella spoglia, il lampo
spento dei lumi e tutto morte il viso,
cinta d’eterno gelo
dir quasi: — E perché anch’io non vado al cielo? —
Ahi sembianza, onde morte ancor s’infranse!
Di che mai piangerá chi allor non pianse?
     L’alto duce che ’n cento e cento imprese
portò fra’ piú crudeli orror di morte
sicuro petto e imperturbabil fronte,