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per cui perdo me stesso.

Dall’idea di quel volto
divellere il pensier mi sforzo in vano,
talché miser m’avveggio
che ben tosto io vaneggio.
Ah! ch’io non posso lasciar d’amare
quel dolce foco che ’l cor m’accende.
Son troppo belle, son troppo care
l’accese luci del mio bel sole
e sento trarmi dov’egli vuole,
son certa forza che non s’intende.

SCENA 111

Or alto e Narete.

Narete.   Deh! s’egli è vero, Oralto,

ch’un valoroso cor sempre è gentile,
con fronte men severa
ascolta mia preghiera.
Oratto.   Di’ ciò che vuoi.
Narete.   Tu hai nelle tue mani
me vecchio vii con due fanciulle imbelli.
Che vuoi tu far di cosi inutil preda?
Alle ardite tue navi
noi possiant dare incarco e non soccorso.
Odi però ciò ch’io propongo: a Sciro
di lieti campi e di fecondi armenti
mi fe’ricco fortuna; io, se’l consenti,
farò che d’ogni cosa oro si tragga,
e per nostro riscatto a te si dia
tutta quant’è l’ampia sostanza mia.
Oraeto.   O quanto io mi compiaccio
in udir tua sciocchezza, insano vecchio!
Tu di mandre e di greggi,