Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/242

né faccia ch’in mio danno usi il suo pie

la libertá,
ch’egli pur ha
da me.
Dille che pensi ch’ io soffrir non soglio,
e che sempre alla fine
con chi può ciò che vuol vano è l’orgogl
Morasto.   Ubbidirò, signor, ma intanto scusa
di rozza pastorella aspro costume,
e stupor non ti dia,
ch’usa alle selve, ognor selvaggia sia.
Oralto.   Se fera è fatta, io la terrò qual fera.
Morasto.   Per mansuefarla usar si vuol dolcezza.
ORATTO. Ma se questa non può, potrá la forza.
Morasto.   Crudeltá diverrebbe allor l’amore.
Oralto.   Crudeltá che di poi le sará cara.
Morasto.   La trarrebbero a morte ira e dolore,
onde quel ben, di cui goder vorresti,
tu stesso a te torresti.
Oralto.   Or non richiesto tuo consiglio cessi,
ch’io te a servir non a garrire elessi.
Cor ritroso, che non consente,
ben sovente
è capriccio, non onestá;
niega all’uno, poi dona all’altro
che piú scaltro
senza chiedere ottener sa.

SCENA XI

Morasto.

In cor villano amore

non amor, è furore.
Ma lode al ciel che dopo tal comando,
senza dare ad Oralto alcun sospetto,