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18 la merope


Ismene.   Nulla di questo: afferma Polidoro

ch’era preso il garzon da viva brama
d’andar vagando per la Grecia e alcune
cittá veder che del lor nome han stanca
la fama. Egli or co’ prieghi ed or con l’uso
di paterno poter per alcun tempo
il raffrenò, ma al fin l’ardente spirto
vinto dal suo desio partì di furto,
e ’l vecchio, dopo averlo atteso invano,
era giá in punto per seguirlo e girne
ei stesso in traccia, investigando l’orme.
Euriso.   Oh! questo è un male assai minore, e forse
né pure è mal : ché a qual periglio esponsi
col suo peregrinar, se non che altrui
ma né pure a sé stesso ei non è noto?
A ciò pensando, avrá conforto in breve
la madre afflitta.
Ismene.   Oh si, ti so dir io
ch’or ben t’apponi: tutti i rischi, tutti
i disagi che mai ponno dar noia
a chi va errando, s’odi lei, giá tutti
stanno intorno al suo figlio. Il sole ardente,
le fredde piogge, le montagne alpestri
va rammentando, né funesto caso
avvenne in viaggio mai che alla sua mente
non si presenti: or nel passar d’un fiume
dal corso vinto ed or le par vederlo
in mezzo a’ malandrin ferito e oppresso.
Ma ricorda anche i sogni e d’ogni cosa
fa materia di pianto; in somma, Euriso,
s’io debbo dirti il vero, alcuna volta
parmi che il senno suo vacilli.
Euriso.   O figlia,
tutto vuol condonarsi a un cor di madre;
quello è l’affetto in cui del suo infinito
divin poter pompa suol far natura.