Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/209


atto quarto 203


SCENA II

Idalba, Anselmo.

Idalba.   A me veramente,

signor Anselmo, par vergogna che
il parlare a la moda in queste parti
non si curi. Vedrá che spicco fanno
que’ due parlando in tal modo; io starei
tutto il giorno ad udirli, e tuttoché
non intenda a le volte quel che dicono,
non pertanto mi par che dican bene.
Anselmo.   O Idalba, se poteste ben comprendere
che abuso sia lo storpiar cosi,
per non saperne veruna, le due
piú belle lingue del mondo! Perdiamo
i nostri piú be’ termini, le nostre
piú belle forme; nasce ciò da incuria
e dal non legger mai chi ha scritto bene.
Piacevi forse anche la crescimonia?
Idalba.   Io credo in fatti che abbiate ragione;
ma, non saprei perché, gusto grandissimo
vo’ prendendo ancor io nel dir fi fi
in cambio d’oibò, nel dire in séguito
invece di dappoi, e debocciato
per dissoluto, e andare in tutti i sensi
cioè per ogni verso, e non s’intende
per dir che non si sente, e panno spesso
e lettera toccante e che so io.
Anselmo.   Ma un matto ne fa cento, e il mal s’attacca
di leggeri e per tutto si propaga
con gran facilitá.
Idalba.   Quando da prima
su la persona erâmo in dubbio ancora,