Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/204

198 il raguet


e di astenervi ancor dal ragionare

a mia figliuola, se in questo passeggio
a sorte la vedrete. Finor preso
séte stato in iscambio. È ricercata
per consorte da un altro; e ciò assai prima
che voi compariste; ond’è ben chiaro
che non è di dover guastare i fatti
suoi, né voi credo il vorreste.
Ermondo.   Ben dura
ed amara è la nuova ch’or mi dá.
lo con Ersilia avea l’istesso fine
di maritaggio e non per vista d’utile,
ma per piacer d’alliarmi sí bene.
Anselmo.   Tant’è, avete inteso.
Ermondo.   Ella mi fa
gran torto, perch’io ho amata questa giovane
assai prima del mio venire or qua.
E se nol crede, eccogliene una pruova
che non ammette replica: è assai tempo
ch’io feci far questo portreto e serbolo
fra le piú care cose.
Anselmo.   O che vegg’io!
Questo è il ritratto di mia figlia Idalba,
questo è il ritratto ch’io mandai a Ortensio
quando trattava e ch’ei mi scrisse avere
consegnato a lo sposo. Or finalmente
con bel modo si scuopre. O signor Flavio,
perché mai darci sí lungo martello?
Idalba.   Mi faccio serva al signor Flavio anch’io.
Ermondo.   Che Flavio? quai sottise.
Anselmo.   Quanto ha
ch’è partita da Modona?
Ermondo.   Che Modona?
Anselmo.   Come sta Ortensio?
Ermondo.   Che Ortensio? Costoro
vogliono farmi impazzare.