Pagina:Maffei, Scipione – Opere drammatiche e poesie varie, 1928 – BEIC 1866557.djvu/198

192 il raguet


Ermondo. Che dirò poi de’ vini? Non vedrá

se non botteglie.
Aliso. (a Despina) Cioè bottiglie, bocce,
caraffe. Non udrá che Frontignac
e sciampagna e Bordò.
Ersilia.   Ma i nostri vini
saran dunque banditi?
Aliso.   Si, signora.
Ersilia.   Ma se sono miglior?
Aliso.   Che importa questo?
Non si cerca se non che costi molto;
l’ambizione ha da ber, non la gola.
Ersilia.   Non si potrebbe incivilir, dicendo:
Santo, Moscatellác, Monpulcianò?
Aliso.   Quando non costi qual se fosse balsamo,
non sará mai al caso; ed a l’incontro,
quando costerá assai, foss’anche insipido,
troverá sempre chi ’l dirá exce1lán.
Ermondo. In fatto di cucina io non ho tema
di fallare; son pien di buone massime,
son allevato in buon paese. Un giorno
sovvienmi ch’imparai molto, trovandomi
a sontuoso e nobile convito.
Applaudia ognuno a la delicatezza
de le vivande; ma un soggetto grave
che m’era appresso, raccoltosi in atto
serio: — E pur (disse) signore, può essere
che tutto questo oggi non vaglia un fico. —
— Come (diss’io) che ciò ch’or mangio e trovo
sí buon non sia buon? — Cosí è (rispose)
perche può darsi che sien giá sei mesi
che di questi mangiari né pur uno
a Parigi si faccia piú. I’ l’ho detto
piú volte a tutti: per assicurarsi
e non c’è altra via che di tenere un cuoco
residente a Parigi, il quale avvisi