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atto secondo 177


di farle la mia corte e di onorarla

con molte pulizie, e senza alcuna
dilazione si faran le nozze.
Lippo.   Padron, voi séte pien di buone nuove,
ed io le ho avute cattive, anzi pessime.
Alfonso.   Che male nuove puoi tu aver? Sará
qualcuna certo de le tue perpetue
balordaggini.
Lippo.   Mentre io stava intorno
al calesso e voi eri fuori in strada,
è venuto vêr me un rinegato
(non so se losco o guercio) e mi ha detto:
— Il padron vostro sbiercia molto e molto
una fanciulla ch’è passata; ma
il poverin si può leccar le dita,
la merce è giá esitata: un forastiero,
ch’è qui alloggiato, ha vinto questo palio;
credo fará le nozze sue fra poco. —
Talché, signor, siamo arrivati tardi,
benché venuti per la posta; e se
mi avrete fede, per la stessa via
noi ce ne tornerem senz’altri guai.
Alfonso.   Questo non può esser vero: male lingue
in ogni luogo non mancano. Come
in cosí poco tempo avrian potuto,
mancando a la parola, altro contratto
imprendere? La testa ci mettrei
che tutto è falsitá; ma in ogni caso
io son qui a tutti ignoto, e d’ogni cosa
con gli occhi miei posso accertarmi io stesso.
Abbi giudizio tu, né ti lasciassi
uscir giá mai ch’io sia Flavio, né che
siam partiti da Modona: il mio nome,
finché sto qui, ben sai è Alfonso Corbi.
Sta sempre su l’avviso.
Lippo.   Invan temete,