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170 il raguet


da lei appreso questo dire, ho detto

l’altro di che mi amuso, e certa sciocca
ha creduto le dica brutto muso.
Ermondo.   A quella giovinetta io penso sempre,
e in veritá l’amo furiosamente.
Idai.ba.   O non ci vuol poi furia, ci vuol flemma
piú tosto.
Ermondo.   Insomma ho dell’attaccamento
per essa grande.
Idai.ba.   È facile conoscervi
perduto, morto ed attaccamentato.
Ma fate grazia a me, signor Ermondo:
séte vo’ Ermondo, o pur Flavio? Scopritevi
or che siam soli, e mia fé vi do in pegno
ch’io, finché a voi piacerá, secretissimo
vi terrò a tutti.
Ermondo.   Io, signora, non entro
nel suo senso e non ci capisco nulla.
Io, se mia madre non m’inganna, sono
Ermondo Alfani, e non ho alcun motivo
di mascherarmi e di cambiarmi nome.
Idalbá.   O s’è cosi, come pur credo anch’io,
perdete il tempo con Ersilia, e molto
meglio sarebbe che applicaste altrove.
Ermondo.   In fatti quand’io cerco piú che posso
di ragionar con lei la sera ne la
conversazione ch’è in sua casa, dove
voi pur signora intervenite, io piú
d’una volta mi sono insospettito
ch’ella si mocchi di me.
Idalba.   Non intendo
questa parola, ma sará ingiuriosa,
quasi lo riputasse una candela
da smoccolare.
Ermondo.   Qualche invidioso
l’avrá di me male impressa, ma io