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atto quinto 163


Leandro.   Non mi cruccio del fatto, non mi dolgo

de la scelta, non ho che opporre a questo
parentado; ma non dovea uccellarmi
in questa forma, non dovea ridurmi
a tal termine e far sì brutto inganno
e così strana scena; avea a svelarmi
la sua passione.
Orazio.   Oh, signor padre, non
c’è stato tempo, io non ho...
Leandro.   E con Massimo
non passerá cosi, si converrá
venire al sangue.
Antea.   Quanto a questo io prendo
sopra di me di mettergli a la vita
persone che lo acquetino.
Orazio.   Han per altro
detto assai bene il fatto lor.
Antf.a.   Daremgli
soddisfazion amplissime, ed in fatti
egli è ben di dovere: io gli farò
dugento riverenze e gli dirò
su tre carte d’un libro c’ho a memoria
tutto, ed ha complimenti oltramirabili.
Trespolo.   Signori miei, a che gioco giochiamo?
Ancora qui? Avete inteso l’ordine?
Io prenderò la stanga de la porta.
Bruno.   Andianne ormai, e poiché in oggi tante
si sono fatte cerimonie inutili,
lasciamo che il signor Orazio vada
a farne quattro di quelle che sono
utili e benemerite del mondo.
Camilla.   Uditori cortesi, se la favola
non v’è in tutto spiaciuta, fate grazia
che da l’applauso cen possiamo accorgere.