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atto quinto 155


SCENA ULTIMA

Leandro, Orazio, Bruno e detti.

Leandro.   Mi fo servo

a questa nobil radunanza.
Orazio.   Io pure.
Massimo.   Ben venuti, signori.
Aurelia.   Riverisco
e l’uno e l’altro.
Trespolo.   O quante riverenze!
Or comincia il balletto.
Massimo.   Il nostro giubilo
or fia compito e insieme le comuni
felicitá. Non par, signor Leandro,
che nel sembiante di suo figlio splenda
quell’allegrezza che sarebbe propria
del tempo. Né pur si accosta a la sposa.
Leandro.   Oh, un ragazzo com’egli è! Ve n’ha
alcuni che son come le fanciulle;
ei non s’è ancor domesticato mai
con donne.
Massimo.   Tanto meglio.
Leandro.   Via, melenso,
risvégliati. Che modi? Par ch’io t’abbia
fatto allevare in un bosco.
Orazio.   Signora,
eccomi...
Aurelia.   Signor mio, io sto pensando
quanto debbo esser lieta in conseguire
un consorte sí degno e sí stimabile e
colmo di tanta meritevolezza.
Orazio.   Anch’io son tutto allegro, come la
vede.