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atto quarto 141


ch’io ripulisca questo lembo de la sua

giubba. Ove mai s’è appoggiata? Ma
che veggo? Anche il cappello è un poco brutto
di polvere, sará caduto in terra;
ora io lo netto.
Orazio.   O che vi venga il canchero,
dite su: che volete?
Personaggio.   Ella ben sa
che l’uomo in questo mondo e ancor la donna
non posson mai far cosa piú laudabile
né più da tutti apprezzata e ammirata
d’una bella e punita riverenza,
torcendo, anzi storpiando i piedi in fuori,
poi strachinando il corpo, ripiegandolo,
divincolandolo e meglio che anguilla
facendolo guizzar. Beato chi
le sa variare in sdrucciolo, in pendio,
divaricando le ginocchia, in fianco,
strisciando il piede innanzi, andanti, et cetera.
Ora io dieci diverse ne ho insegnate
a questi miei alunni, e vorrei ch’ella
ch’or viene di Parigi, cioè dal fonte
de la scienza, le osservasse e mi
facesse grazia dirmi se ci sono
tutte, o se quivi alcun’altra di nuovo
ne sia stata inventata.
Orazio.   Una di nuovo
ten farò io con quattro piedi ne la
pancia, se non dai luogo.
Personaggio.   Vada, vada,
ch’a me non m’occor altro.
Orazio.   Certamente
c’è chi per la mia impazienza in fatto di
cerimonie si prende spasso e mi fa fare
questi tiri per burla; ma se posso
venirne in chiaro, me la pagherá.