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atto quarto | 133 |
mente per sottoscriver, ma per fare
insieme la funzion del dar la mano.
Orazio. Oimé, disgrazia adunque per me è stata
quest’accidente.
SCENA VI
Leandro e detti.
ci ha pur messo la coda.
Orazio. Signor padre,
ella ora può vedere s’ho ragione
d’aborrir questi modi; ho osservato
che con le cerimonie va il puntiglio,
un mal peggior dell’altro.
Leandro. Taci, taci;
ché io gli aborrisco piú di te. Gli è vero,
è ambizion per lo piú: quegli non vuole
andar innanzi, perché ognuno sappia
com’è parente del padron di casa;
colui si tiene a mente per dieci anni
ch’io gli mancai d’un complimento; quelle
sen vanno in frotta ad ammorbar di visite
gente che non conoscon, perché veggasi
che ci son pur anch’esse.
Orazio. Brutto viso
m’è stato fatto da qualcuno, e ho inteso
perché non gli ho mandato ad avvisare
il mio arrivo: era meglio ch’io facessi
un manifesto. Disputano un’ora
ch’io vada primo e non voglion ch’io vada;
e s’andrò, cascherá il mondo.
Leandro. Appunto