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130 le cerimonie


Trespolo.   La mia padrona fará ogni possibile

per non aver gettata la fatica
in tante belle parole, che si ha
messe in mente. Ora io debbo, avanti d’ire
a casa, fare una bella imbasciata:
c’entra l’onor cinque volte e il vantaggio
quattro; ma in oltre una parola lunga
che ben non mi ricordo.
Antea.   Oh, tu d’ognora
hai da lagnarti di sí fatte cose;
tu vorresti che ognun vivesse a modo
de’ plebei.
Trespolo.   Se io ho in odio queste cose,
i’ so perché. S’ella avesse veduto
quel che ho veduto io, venendo appunto
or da lei!
Antea.   Che c’è stato? c’hai veduto?
Trespolo.   Io passavo davanti a quel palazzo
alto; presso alla porta della stalla
era a fortuna il padrone: è venuto
un uomo con tabarro negro, il quale,
premesso un grand’inchino, gli si è
avventato sparandogli in faccia una
coppia di cerimonie che l’ha avuto
a sbalordire; e quando il gentiluomo
ha cominciato a risponder, si è messo
a star giú chino col capo e col corpo,
di sé facendo un mezz’arco di ponte.
Era quivi quel montone ch’è solito
star co’ cavalli, il qual visto costui
cosí incurvato presentar la testa,
credendo forse volesse cozzare,
gli è venuto all’incontro di galoppo
e l’ha urtato sí forte che il meschino
ito è all’indietro con le gambe all’aria,
battendo in modo sui sassi il pretèrito