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atto secondo 105


Massimo.   Se poi è tale il suo

comodo, ella è padrone in ogni forma.
Aurelia.   Oh perdoni, siam pure inavvertenti.
Orazio.   Che girandola è questa?
Aurelia.   Io non avea
pensato, essendo noi nipote e zio,
che non dobbiamo lasciarla in quel sito,
ma torla in mezzo, acciocché riconosca
la nostra unione o sia cospirazione
in servirla e stimarla ed onorarla.
Orazio.   O che smorfie, o che tedio! Bruno mio,
io vi do nuova che non vo’ costei
per moglie.
Bruno.   Come?
Orazio.   Non la vo’ assolutamente.
Che importa a me ch’ella sia ricca,
quando è di genio sì contrario al mio?
Che importa a me ch’abbia bel volto, quando
è sì smorfiosa e noiosa? Ne avrei
un fastidio perpetuo; converrebbemi
far le funzion matrimoniali ancora
per via di formolario.
Bruno.   Eh, in grazia, pensi
a l’importar del fatto.
Massimo.   Il signor padrone
l’ha avvisata dell’ora, in cui s’è detto
d’essere insieme per la scritta?
Orazio.   Queste
cose non voglion tanto precipizio,
e non c’è sì gran fretta.
Massimo.   Come! Che
parlare è questo?
Orazio.   Vengo persuaso
di non legarmi prima d’aver fatto
un viaggio per l’Italia.
Aurelia.   Un viaggio ora?