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atto secondo 103


non potrá mai ringraziare a bastanza

il suo destin di tanta sorte.
Orazio.   Io posso
accertarla che in me troverá sempre
buon cuore, stima grande, amor sincero.
(Qui Aurelia viene a presentarsi con profonda riverenza fatta adagio, adagio.)
Oimé qual melodia è mai questa? Bruno,
badate in grazia, avvisatemi quando
sará finita questa riverenza.
Aurelia.   Siccome i grandi dolori impediscono
la loquela, cosí nelle grandissime
consolazioni avvien; però il gran giubilo
m’impedisce al presente di prorompere
in quelle molte espression che sarebbero
in questo caso piú che necessarie
per dichiarar l’interno del mio animo,
ch’è soprafatto, e del mio desiderio
pareggiare l’ardenza impareggiabile.
Orazio.   Bruno, presto: ho veduto in casa un libro
di lettere di buone feste; andate
a prenderlo, ché vo’ leggerne una
a sta signora in risposta.
Bruno.   Deh! in grazia
badi.
Aurelia.   Vero è però che affatto inabile
io sarei sempre a spiegare il bastevole;
son le sue qualitá troppo ammirabili,
tutto è poco al mio debito e al suo merito,
qual sopravanza tutti gli altri meriti,
come supera il mio tutt’altri debiti.
Orazio.   O che venga il malanno a queste nenie.
Signora, io debbo dirle come tutti i
suoi concetti con me son molto mala‐
mente impiegati, e ch’io non saprò mai