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ATTO TERZO | 85 |
Dell’antico suo morso. Ah, ma natura
Le sue leggi scomponga, e l’un contro l’altro
Si distruggano i mondi, anzi che un pane
Spezzar tremando, e velar le pupille,
Nell’angoscia infernal d’orrendi sogni!
Meglio, o meglio, dormir con quell’estinto
Che mandammo sotterra, anzi che vivi
Giacer su questo letto irto di spine
E di terror! Duncano è nel sepolcro.
Dopo la febbre della vita un queto
Sonno egli gusta. In lui la empiezza umana
Scarcata ha la faretra; ed or nè tosco,
Nè pugnal, nè intestina o interna guerra
Può la sua pace molestar.
lady.
Mio sposo,
Mio signore, mio re! che più tranquillo
Ti vegga! Oh, spiana quel cipiglio, e lieto
Sereno in questa sera, in questa almanco,
Sii con gli ospiti tuoi!
macbeth.
Sì, cara donna,
Tale io sarò; ma tale esser tu pure
Dovrai, nè di lusinghe e di melate
Parole avarizzar. Non è sonata
L’ora in cui cesserem dalle blandizie
Codarde, e dal coprir d’una ridente
Larva il chiuso pensiero; arte odïosa
Che m’invilisce la corona.
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