52 MACBETH.

SCENA III.

MACBETH solo.

È ben questo un pugnal che mi s’affaccia
Coll’elsa dritta al pugno mio? T’accosta,
E lasciati afferrar. Tu sfuggi al tatto,
Non t’involi alla vista. Orrenda larva,
Palpabile non sei come ti mostri
Visibile? La sola e vuota immago
D’un pugnale sei tu che nel cerèbro
Mi crea la febbre del pensiero?... Ognora
Ti veggo, e la tua forma è vera tanto,
Che men vero non è l’acciar ch’io snudo.
Precorrendo m’accenni il calle istesso
Che seguir mi proposi, e d’uopo avea
D’uno stromento come tu. Se gioco
Non è la vista mia degli altri sensi,
Essa tutti li eccede. Ed io pur sempre
Ti miro, e stille di recente sangue
Che non v’erano pria, dalla tua lama
Grondano.... Va’! ti scosta, o sanguinoso
Spettro di quella idea che mi soggioga!
No, non altro sei tu. -- La terra or sembra
Mezzo estinta. Agitato è fra le coltri
Da malvage apparenze il queto sonno,
Mentre l’incantatrice i riti arcani
Ad Ecate consacra, e l’assassino