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I primi passi dell’Italia in Africa furono tentennanti e quanto mai incerti. Una maggiore compattezza civile ed unitaria con una più alacre coscienza coloniale della Nazione avrebbero certamente permesso al Crispi ed ai suoi pochissimi fedeli di far figurare meno sciattamente l’Italia, nel coro delle grandi potenze coloniali del mondo.

I risultati conseguiti fecero, tuttavia, sì che la giovane Nazione, entrata volente o nolente in Africa, la costrinsero in sèguito a non disinteressari dei fatti e dei mutamenti che avvennero in essa. L’opera di civiltà dell’Italia in Africa non è stata poca nè sarà certamente minore in avvenire, avendo essa tutti i requisiti indispensabili per una sua ulteriore affermazione di potenza civile nel mondo africano.

Colpe di uomini singoli, colpe di partiti, contrasto di volgari interessi più che di grandi sublimazioni ideali, negazione di ogni eroismo, debolezza della compagine nazionale contribuirono moltissimo a tarpare le ali al grande volo dell’Italia risorta ed affermatasi, pur attraverso mille difficoltà e contradizioni, nazione vitale. Adua non segna se non un tappa, dolorosa quanto si vuole, ma non definitiva nel fatale cammino d’Italia. La marcia interrotta è stata ripresa e continuerà sempre più, perchè l’Italia d’oggi, fatta esperta degli errori del passato, vuole è può partecipare sempre meglio all’incivilimento dell’Africa.

Ferdinando Martini, nel 1900, fece murare una lapide nel forte di Càssala, ad imperituro ricordo di quegli Italiani, caduti nella conquista di essa, immacolati alfieri dell’ideale italiano ed europeo nelle selvagge terre africane. In questa lapide, i caduti sono chiamati «Antesignani Europaei Cultus et Humanitatis». Ed in verità essi combatterono colà e caddero proprio per l’ideale europeo ed umano.

Dopo la battaglia di Adua, in cui — per dirla con la stesso evidente esagerazione ma non con lo stesso com-