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col Governo, ottenne quanto chiedeva ed il Tigrai fu senz’altro annesso alla Colonia Eritrea. Così, tutto sembrava si fosse acquetato, allorquando si venne a sapere dei preparativi di guerra nello Scioa.

Menelìch si apprestava alla guerra, incoraggiato dagli aiuti di armi, che continuavano ad affluire in Etiopia, attraverso i porti della Somalia francese di Oboch e Gibuti. L’Italia fece delle giuste rimostranze, allegando a sua difesa che il trattato di Uccialli, ad onta della denunzia fatta dall’Etiopia, era tutt’ora valido, essendo perpetuo. Ma non pensandola così la Russia e la Francia, in data 20 aprile 1895, partì da Roma un invito alle Potenze fimatarie dell’Atto di Bruxelles, in cui l’Etiopia, in virtù dell’articolo 17 del trattato di Uccialli, si era fatta rappresentare dall’Italia. Migliore appoggio di questo alla tesi italiana non poteva esserci.

Il Governo italiano accusò Menelìch, il quale continuava a trafficare gli schiavi «percependo ufficialmente la tassa di un tallero» per ogni schiavo esportato. Stando così le cose, non era più possibile consentire che Menelìch continuasse ad importare armi nel suo territorio, poichè egli non poteva esser considerato un monarca cristiano e civile.

«Ora — continuava la protesta — è precisamente in vista d’impedire la tratta che le Potenze, convenute a Bruxelles, hanno statuito di restringere l’importazione delle armi da fuoco e si sono impegnate non solo a reprimere il traffico umano nei loro possessi, ma a prestare i loro buoni uffici alle potenze che a scopo puramente umanitario compiono in Africa una missione analoga...... Ora, il Governo Italiano è responsabile verso le potenze che hanno conosciuto il suo protettorato sull’Etiopia, dell’osservanza dell’atto di Bruxelles in quei territori; e perciò mentre provvede da parte sua ad impedire che Menelik continui a violare l’Atto