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La quale, nata da un’errore iniziale, fu tuttavia quella che spinse l’Italia a maggiori ardimenti e — come si disse — a prendere parte attiva all’incivilimento ed all’attrezzatura economica dell’Africa, terra d’avvenire per gli Europei di oggi e di domani, che non sanno bene, né sapranno, nel futuro anche immediato, dove riversare l’eccesso della loro produzione industriale e l’esuberanza del loro altissimo grado di civiltà, sia pur meccanica ed industrialistica.

Ma, tornando alla Colonia Eritrea, conviene considerare che l’Italia, fatto il passo, anche se falso, non potè retrocedere e fu, al pari di tutte le altre potenze, indissolubilmente legata all’Africa.


La battaglia di Adua e la caduta di Crispi. — Nel gennaio del 1891, il ministero Crispi era caduto, subentrando ad esso quello del Rudinì. Questo cambiamento sarebbe dovuto nuocere moltissimo all’Italia nella sua ulteriore affermazione in Etiopia.

Gli amici falsi o i nemici dell’Italia, numerosi alla Corte d’Etiopia, incominciarono a soffiare nel fuoco, tanto che Menelìch, il quale stava tutt’ora battagliando con Mangascià, signore del Tigrài, che non aveva voluto riconoscere, auto-proclamazione di Menelìch all’impero, l’avvenuta il 26 marzo 1889, tanto da annullare l’articolo 17 del trattato di Uccialli, il quale, essendo perpetuo — come si disse più sopra — non poteva essere denunziato senza l’esplicita volontà delle due alte parti contraenti.

Ma la prima lite sorse a proposito della delimitazione dei confini sulla linea Marèb-Belesa-Muna, tanto più che il generale Baldissera aveva occupato il Seraè e l’Acchelè Guzài.

Circa il trattato, Menelìch insinuò che c’era errore di traduzione e che il testo amarico anzichè dire consente