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Menelìch, in data del 14 marzo 1888, faceva solenne promessa che, sebbene il Negus si fosse già mosso per attaccare gli Italiani, essi potevano fidarsi di lui, perchè non aveva nessuna intenzione di prestargli aiuto. La situazione era incerta, perchè l’Antonelli sapeva bene quale fede prestare alle parole di tutti gli Abissini, compreso lo stesso Menelìch, che, pur trovandosi ormai compromesso, avrebbe potuto da un momento all’altro cambiare opinione.

Ma, saputo che Menelìch desiderava armarsi, ad ogni buon fine, contro le eventuali sorprese del Nègus, scrisse a Roma perchè fosse accolto il desiderio del re dello Scioa, il quale chiedeva al re d’Italia l’invio di 10 mila fucili Remington e 400 mila cartucce Vetterli. Questi fucili dovevano essere spediti ad Assàb da dove Menelìch li avrebbe fatti ritirare; ma il Governo italiano avrebbe dovuto anche anticipare metà del denaro occorrente per il loro trasporto a dorso di cammello. Se fosse riuscito ad avere tuto questo, l’Italia non avrebbe avuto più nulla da temere ed i morti di Dogali sarebbero stati vendicati, senza spendere molti milioni.

Il Crispi, informato di tutto ciò e rassicurato dall’Antonelli stesso sulle buone intenzioni del Menelìch, telegrafò in questi termini:

«In massima accetto l’alleanza e darò armi ed aiuti da concertarsi. Però voglio garenzie tali da assicurarmi che il re Menelìch non potrà, in qualsiasi circostanza, mancare ai suoi impegni. Le garenzie dovrebbero essere di territorio e di ostaggi. Circa i territori si concorderà un progetto.»

L’Antonelli, dopo l’incontro del 29 giugno ad Antoto, partì per Roma dove fu concertato che Menelìch avrebbe dovuto stipulare con l’Italia un trattato di amicizia e di commercio, che sarebbe andato in vigore allorché, dopo