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tagliar corto alla lite, egli deferì la questione al tribunale delle Potenze, sostenendo che la Francia non aveva diritto a chiedere la conservazione delle Capitolazioni, perchè Massaua e regioni adiacenti, essendo in possesso di una potenza civile e cristiana, potevano e dovevano reggersi secondo le leggi della civiltà e della Cristianità europee. Naturalmente, Francesco Crispi ebbe causa vinta, per modo che il recente acquisto coloniale italiano ebbe la sua sistemazione giuridica, meno, s’intende il riconoscimento dell’Egitto, vassallo della Turchia, e di questa stessa nazione, la quale amministrava direttamente l’antistante costa araba.

Ma la Porta, ora non più Sublime, non aveva per nulla rinunziato ai diritti di sovranità su l’Algeria e la Tunisia, anche dopo che queste due regioni nord africane erano cadute in mano della Francia: del resto, era ormai destino del cadente e decadente impero osmanlico di lasciarsi defraudare da tutti e di protestare sempre, sino a sazietà, proprio come quei tali soldati abissini, che gridavano instancabilmente abiet al loro Negus Negàst. Così, al momento di varare l’atto per la libera navigazione sul canale di Suez, la Turchia, in un articolo addizionale, dichiarava solennemente che: «le ministre des affaires étrangères constate que ni l’esprit, ni la lettre de l’article 10 de la Convention n’implique une renonciation quelconque, de la part du gouvernement impérial de Sa Majesté le Sultan, à ses possessions situées sur la côte occidentale de la Mer Rouge».

Le quali esplicite dichiarazioni volevano senz’altro dire che la Turchia non ricosceva il fatto compiuto della nostra occupazione di Massaua. Saputo ciò, il Crispi fece conoscere all’ambasciatore Blanc l’opportunità che dinanzi a tali proteste, certamente caldamente patrocinate dallo stesso ambasciatore francese a Costantinopoli, Goblet, la Tur-