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possedimento coloniale non poteva continuare a sussistere così com’era, perchè, se politicamente aveva un valore più tosto teorico, praticamente esso era di assai scarso valore. Malo spingersi oltre non dipendeva soltanto dalla tentennante volontà dei governi italiani dell’epoca, ma anche da quella di nazioni come l’Inghilterra, la quale, come abbiamo visto, aveva nel Mar Rosso la sua corda più sensibile.

L’occasione di procedere oltre, comunque, non poteva tardare e non tardò, in effetti. E fu quando, scoppiando la grave insurrezione mahdistica contro gli Inglesi del Sudàn, fu giocoforza a questa nazione di rivolgersi all’Italia, per gelosia della Francia, la quale si era posta ad Obock-Gibùti, sin dal 1862; ma solo dal 1880 definitivamente sistemata colà.

Gli Inglesi — comme si disse — erano stati vincitori di Arabi Pascià a Tell-el-chebìr, il 13 settembre 1882; ma, un anno dopo, il Sudàn era in fiamme per la predicazione del Mahdi di Dongola, Mohàmmed Ahmed, il quale si pensava di scacciarne gli infedeli cristiani inglesi. Ora, mentre in un primo tempo, questi ultimi avevano cercato di escludere in modo assoluto gli Egiziani dal Sudàn, si videro costretti, in tale difficile frangente, a far causa comune con gli Egiziani stessi, sia per la liberazione delle guarnigioni egiziane, sia per gli Inglesi stessi assediati ugualmente dalle orde fanatiche del Mahdi. Il generale Gordon, espressamente mandatovi, per la pacificazione, si dovette rinchiudere a Chartùm, dove morì, difendendosi eroicamente.

L’Inghilterra corse subito ai ripari ed allestì una spedizione di 1o mila uomini, lasciando imbarcare sulle navi le truppe sbarcate a Suachim; anzi il porto stesso fu dato in cura alla flotta dell’ammiraglio Hewett quello stesso che, poco dopo, avrebbe dovuto negoziare col Negus Giovanni.