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mente, dipendeva: «Questa forza ottomana sarebbe destinata ad essere utile ausiliaria all’azione pacificatrice ed alla morale cooperazione delle potenze... Qualunque sia per essere l’opinione dei gabinetti, l’Europa sarà giudice del nostro obbiettivo affatto disinteressato.»

In altri termini, mentre si afferma in principio della circolare che l’Italia è la «naturale tutrice dei rilevantissimi interessi nazionali in Egitto», si conclude con l’affermare, con lampante incoerenza, che «l’Europa sarà giudice del nostro obbiettivo affatto disinteressato».

Interessi rilevantissimi ed obbiettivo affatto disinteressato; come si concilia?

Ma — a quanto pare — questi nostri predecessori erano sempre assillati dall’avere le mani nette, al modo istesso che le avevano avute tutti i moderati dei tempi eroici del Risorgimento, i quali erano finiti con lo smorzare e col sopraffare, in virtù della massa, ogni residuo di spirito garibaldino e rivoluzionario, insofferente cioè delle soppraffazioni e delle rinunce, se si fossero dovute subire e fare per troppa circospezione e viltà. Perchè la moderazione è una grande virtù politica ed umana, a patto di non abusarne.

L’Egitto era in preda alla rivolta. Arabi Pascià aveva proclamato obbedienza al Sultano stambulino, che aveva riconusciuto quale principe dei credenti (Emìr-el-muminìn) e sovrano del paese, contro il mal governo del chèdive Ismaìl e le esose ingerenze straniere, ossia europee. Come avrebbe, adunque, la Turchia potuto intervenire in Egitto, se non aveva nulla da temere dai rivoltosi, i quali, per giunta, lottavano a favore del «Dar el Islàm»? Era evidentemente impossibile, e ciò avrebbe dovuto senz’altro capire il Mancini, se ne fosse stato in grado. Invece, egli non capì nulla della situazione, anche quando si accorse dell’insuccesso della sua proposta, tendente a tenere unite