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entrambe le alte parti contraenti, ma importante assai per la ulteriore espansione ed affermazione di prestigio e di potenza della giovane Nazione italiana.

Com’era naturale, tale trattato non era rivolto contro nessuno, nè ledeva gli interessi di nessuno, anche se l’Italia, con l’andar del tempo, fosse riuscita ad avere l’esclusivo predominio nelle faccende della Reggenza. Sembrò tuttavia alla Francia, banditrice della strana teoria che una potenza colonizzatrice, che possegga un territorio coloniale, abbia il diritto di espandersi ad occidente e ad oriente di esso, che un’influenza eccessiva dell’Italia nella Tunisia avrebbe danneggiato irremediabilmente il futuro vastissimo impero, che essa andava, arditamente e con mirabile continuità, attuando. Così che — venuta l’occassione propizia — essa approfittò della debolezza dell’Italia d’allora, occupando la Tunisia nel 1881. Il 12 maggio fu imposto al Bei, «possessore del Reame di Tunisi», il trattato del Bardo o di Càssar Said, col quale egli riconosceva il protettorato della Francia.

Quest’atto, da essa commesso, non fu certamente allora un atto amichevole verso l’Italia alla quale non isfuggì la gravità della cosa, perchè essa, ormai, si era abituata insensibilmente a considerare la Tunisia come un territorio che, presto o tardi, le sarebbe dovuto toccare in sorte, sia come nazione mediterranea, sia come quella che aveva ormai colà, per esplicita e libera volontà dello stesso Bei, interessi prevalenti.

Tralasciamo di scendere a particolari, per lo più noti a tutti gli studiosi di cose coloniali nord-africane; ma quello che conviene fare rilevare, per la storia, è che il ministro francese dell’epoca, Jules Ferry, non agì correttamente, facendo, pochi giorni dopo, l’opposto di quanto aveva pur solennemente promesso pochi giorni prima. Vero è che, per dirla col De Musset,