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passando per Ferrara1, ed era suo interesse che il viaggio si compisse presto per prevenire l’andata del Moro e non sfigurare al confronto dello sfarzo della sorella Beatrice.2 Il 4 maggio giungeva a Ferrara, noiata questa volta assai pel tempo poco favorevole, e per l’abbandono della dolce compagna. "Appena - le scriveva - me ritrovai in barca senza la sua dulcissima compagnia venni tanto bizarra, che non sapeva che volesse. Havendo per mio conforto aqua et vento sempre contrario... molte volte me agurai in camera de V.S. a giochare a scartino"<ref>Copialett., L.III. Questo documento producemmo già nelle citate Relazioni, p. 73m n. 1. Che cosa veramente fosse lo scartino, per cui le due dame avevano singolare predilezione, non sapremmo dire con sicurezza, benchè ci sorrida il pensiero che potesse essere qualcosa di simile all’attuale ècartè. Certo era un giuoco favorito a Mantova in quel tempo. Da Padova, il 20 maggio ’93, la Marchesa ordina a Francesco Bagnacavallo "duo para de carte da scartino" accusa al medesimo ricevuta il 1° dicembre di quell’anno (Copialett., L.IV). Il 7 settembre 1495 il Marchese, dal campo, chiede alla moglie di fargli avere "fino a due para de scartini, a ciò possiamo passare el tempo cum mancho pensero". Il 9 luglio 1509 Tolomeo Spagnoli comunica da Mantova che la Marchesa "sta molto bene e si spassa il caldo dil dì "giocando a scartino". Tali esempi si potrebbero moltiplicare. L’anonimo autore del Diario Ferrarese, parlando di giuochi che costumavano in Ferrara nel dicembre 1499, scrive: "Si usa et costuma di giocare a carte molto, come a falsinelli, a rompha, a risuscitare li morti, a scartare et a mille diavolamenti". (MURATORI, Rerum Ital. Script., XXV, 376). Borso da Correggio, riferendo il 28 agosto ’93 i giuochi cui prendeva parte Beatrice Sforza, dice: "

  1. Il Marchese era a Venezia in marzo e poi di nuovo in aprile, e là si occupava anche degli affari del Duca d’Urbino. Vedi in proposito la lettera d’Elisabetta, 26 aprile, da Mantova, che non è già diretta a lui, come sbadatamente pone il FERRATO nel pubblicarla (Op. cit., pp. 82-83), ma al comun fratello Giovanni.
  2. Di ciò distesamente nelle nostre Relazioni con gli Sforza, pagina 70 e segg.