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fin terra de panno d’oro rizo". Dopo la cerimonia nuziale ed il sermone, ebbe luogo il pranzo. Poi si ballò, finchè giunse l’ora della rappresentazione, che Maddalena riferisce molto confusamente (pare non l’abbia inteso bene), ma in modo da ridare l’impressione che se ne doveva ritrarre. Giovanni ci spiega che fu la rappresentazione di Giuditta ed Oloferne, fatta "cum spese et operatione de li Hebrei de questa terra", notizia non ispregevole, perchè ci mostra come gli israeliti fin da quel tempo si occupassero di teatro, in Pesaro. Le benemerenze che ebbero più tardi, a questo riguardo, altrove, sono ben note. Il dì successivo (29 ottobre) si tenne il grande convito, con 15 portate, secondo Giovanni, 13 secondo Maddalena, che le specifica. Succedette un’altra rappresentazione "de Phebo et Daphne conversa in lauro, poi viene fuori il Petrarcha et Laura che inseme cum Diana prese Cupido et lo spenachorno che fue bel spectaculo".</ref>. Simili solennità, che si rassomigliavano tanto nel Rinascimento, erano vere fatiche per le costituzioni gracili o malate: e la Duchessa confessava di essere rimasta affranta per le feste di Pesaro, scrivendone al fratello il 10 novembre. E’ ben vero che il giorno dopo Giovanni Gonzaga notificava da Urbino: "La illma Mna Duchessa nostra sorella, essendo prima un pocho magra et palida, havendosi comincio a medicare secondo secondo il consiglio del Mo Carcerando, spero serà presto galiarda et poterà venire a le noze de V.S.": ma in realtà Elisabetta soffriva sempre, onde Francesco pensò d’inviarle il medico Matteo Cremaschi accompagnato dal Capilupo. La lettera che quest’ultimo scrisse il 2 dicembre, poco dopo giunto in Urbino, non dissimula la cattiva impressione che gli destò la malata: "Gionti qua, como ho dicto, el lune, ritrovassimo la illma Ma vostra sorella esser pur nel termine che se dicea, cioè magra, pallida, extinuata et debile, senza alcuna parte del collore suo tanto vivo et naturale como soleva havere, et se qualche volta ha rosseza procede da vergogna o movimento. Vero è che a