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cui non si hanno d’altronde novelle. Non appena poi la sorella gli richiamò la promessa avuta di rivedere ogni anno al suo fianco per qualche tempo il castellano Calandra, questi ebbe subito dal Marchese licenza di recarsi ad Urbino, ov’egli si fermò alcuni mesi, e solo nel settembre potè tornarsene a Mantova1.
La salute di Elisabetta era alquanto scossa, e per tutto l’anno le sue sofferenze non furono lievi, quantunque cercasse celarle per non angustiar troppo il fratello. Quando l’amata sorella Maddalena, che s’era promessa insieme con lei nel 1486, venne a nozze in Pesaro, Elisabetta non volle mancarvi e fu col marito a quelle feste, in cui Giovanni Sforza ed i Pesaresi cercarono emulare i fasti urbinati dell’anno precedente<ref>Il matrimonio di Giovanni Sforza con Maddalena Gonzaga seguì il 28 ottobre 1589. Il ricevimento, la cerimonia, le feste, il convito ci sono descritti in due belle lettere del 29 e del 30 ottobre, indirizzate al marchese Gonzaga da suo fratello Giovanni e da Maddalena stessa. Le lettere, tratte dall’Archivio Gonzaga, furono prodotte dal signor Guido Mondovì in Mantova, nel 1883, per nozze Rimini-Todesco Assagioli. A due miglia da Pesaro vennero incontro alla comitiva mantovana, con lo sposo, il Duca e la Duchessa di Urbino, Ottaviano Ubaldini, Emilia Pia ed il marito di lei. Il Duca aveva 200 persone nel seguito. Maddalena entrò nella città (chi glielo avesse detto allora che non sarebbe concesso neppur un anno di vita!) "ornata la testa da Nimpha cum li capilli per spalla, et una zerlanda et penna zolielata in testa, cum vesta de brochato d’oro biancho, suso uno cavallo leardo pomelato copertato
- ↑ Elisabetta al Marchese, 1° settembre ’89: "Se ’l castellano ritorna tardo da la S.V., prego quella nol voglia imputare a lui, ma ad me: la quale l’ho retenuto fino a questa ora, et tanto piacere ho auto de la venuta sua qua che ’l m’è parso che ’l sia stato una medicina a uno pocho de male che me sentiva, et sempre de dì in dì soto stata qua apresso di me". Raccomanda vivamente lui, il figliuolo e le cose sue. FERRATO, Op. cit., pp. 59-60.