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Luciano di Laurana<ref>Intorno all’edificazione del palazzo Urbinate Giovanni Santi, nel lib. XIV, cap. 56 della sua cronaca in rima ebbe a dire:

 
E l’architetto, a tutti gli altri sopra
fu Lutian Lauranna, huomo excellente,
che per nome vive, benchè morte il cuopra.
Qual cum l’ingegno altissimo e possente
guidava l’opra col parer del conte,
che a ciò el parere havea alto e lucente
quanto altro signor mai, e le voglie pronte.

Onde bene a ragione il MÜNTZ scrisse che quell’edificio "peut ètre considéré comme le produit de la collaboration de Frédéric et de l’architecte dalmate Luciano de Laurana". La Renaissance à l’époque de Charles VIII, Paris, 1885, p. 358. Sulle cognizioni architettoniche di Federico e sulle sue relazioni con l’Alberti, che forse intese dedicargli i suoi libri dell’architettura, vedi BALDI, Federico, III, 55-59, e MANCINI, L.B. Alberti, pp. 520-24. Che il Laurana sia stato l’architetto principale, ed altri, tra cui Baccio Pontelli, lavorassero solo sotto la direzione di lui, è ora ammesso generalmente, per l’attestazione sincrona del Santi, accolta dal Baldi, e pel diploma edito dal GAYE, Carteggio, I, 214. Cfr.su di ciò UGOLINI, op. cit., I, 442-45; PASSAVANT, Raffaello d'Urbino, trad. it., I, 279, segg.; gli annotatori al VASARI, ed. G. Milanesi, II, 385, n.2, 654, 661 e III, 70, n.4. La fabbrica costò dugento mila ducati, ed era fornita splendidamente: oltre la celebre libreria, v’abbondavano le credenze ricchissime, i paramenti di seta e d’oro, gli arazzi, tra cui famosi quelli rappresentanti la storia di Troia, le armature dorate, le argenterie, che costarono ben quaranta mila ducati (COLUCCI, Antichità Picene, XXI, 76). Uno scrittore antico, il Mercatelli, dice che vi erano 250 stanze, con 40 camini e 660 usci e finestre. Sarà un po’ troppo, ma di esagerazioni simili non v’è da stupire, perchè di tutti gli edifici rinomati occorre sentirne altrettali. Più tardi Michele de Montaigne raccoglieva in Urbino una notizia ancora più sbalorditoia: "ils disent qu’il y a autant de membres que de jours dans l’an", ma a lui che d’arte s’intendeva l’incuria