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e piuttosto che cimentarsi dietro quell’unico signore dell’aria, si contenta di rivelare da sè al mondo, attendendo agli operosi carmi, una nuova grandezza.

Guai se il Prati avesse dato troppo retta a chi lo mandava a studiare. Quando si ostinò a lavorar di cerebro, le psicologie de’ suoi poemi drammatici e simbolici dicono che, pensando, egli cessava di cantare. Un poeta nato così, non ha le cellule del cervello organizzate come quelle del matematico, che in tutta quiete e a tutte l’ore può mettersi dietro alle sue operazioni. E non ha nemmen sempre le pulsazioni del cuore così regolari come quelle di un uomo normale che riposa nel suo letto. Un poeta nato così, somiglia a un estatico; quando il nume agitante, il demone armonioso lo invade, allora comincia il suo rapimento. Alienato dal mondo, alienato da se stesso, egli entra nel superno regno della visione.

Tale, quando poetava d’ispirazione, il poeta nostro. Con un arpeggio facea palpitar d’amore tutto il creato; e avrebbe dovuto confondersi e decifrare i neumi della logica e dell’estetica? Ora egli canta sveglio, ora addormentato, sì; ma canta sempre; e la sua bocca è un favo colante di belliniana dolcezza.

Chi fosse stato presente mentr’egli così cantava, dovea stupirsi, io credo, che dalla sua bocca uscissero sensate parole. Poichè il suono del verso era dapprima nella sua voce come un sordo mugghio: sì, se ben ricordo, lo dice proprio stronfiare e mugghiare il Dupré, nella sua lingua d’oro. Il ritmo lo sentiva venir più facile col moto del suo passo, camminando, o gliel davano i rumori de’ quali andava in cerca quando componeva: il via vai delle strade, l’intronamento d’una filanda, il rombo d’una mac-