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appese ai salici; ma dardeggiati in fronte da quell’astro medesimo che illuminò un giorno dietro la fuga de’ barbari cavalli tutto il francato Ellesponto, essi voleano che Simonide risalisse il colle trionfale, e dalla lira tremante sull’infiammato petto liberasse la foga degl’inni, già palpitanti in ogni cuore, già incalzati dalla piena d’unanimi sentimenti a prorompere in coro nell’istesso punto da mille bocche, prima ancora che il verso del poeta li vestisse d’un pensiero sonante.

Beatissimo il vate che in tal giorno comparve! Egli è veramente l’aspettato e il profeta. Egli è l’antelucano raggio e la primavera de’ tempi. — Anche l’ottobre ha talvolta notti dolcissime di luna sulle montane convalli odoranti di madreselve e di ginepri. E il viandante solitario che cammina nel silenzio della chiara notte, tende senz’accorgersi l’orecchio, quasi debba udir tutt’a un tratto dal folto d’una macchia ombrosa scaturire la soave nota dell’usignuolo. Ma quella nota non s’ode; il silenzio si mantiene profondo, non interrotto; è vano aspettare un gorgheggio che risponda alle stelle. E il viandante che sen va silenzioso verso la pianura, si ricorda che è autunno, e che lunghi e lunghi mesi di triste inverno dovran passare prima ch’ei possa udir di nuovo nella placida notte spandersi soavemente il canto dell’usignuolo. — Tale la primavera ultima di nostra gente. Ebbe il suo canto d’usignuolo; poi non lo udimmo più. Altre stagioni vennero; venne la bollente estate rivoluzionaria in filosofia, in politica, in arte; ed anch’essa ebbe i suoi canti. Ebbe i carmi fallici sortiti agli orgiasti della ribellione e dell’odio; ebbe i febei canti dei Iuvenilia e dei Levia Gravia; intese sussurrar voluttuosi ne’ mirteti gli autunnali idillj delle Primavere elleniche, e assi-