Pagina:Luisa Anzoletti - Giovanni Prati, discorso tenuto nel Teatro Sociale la sera dell'11 novembre 1900 per invito della Società d'abbellimento di Trento, Milano 1901.djvu/37


— 34 —


Bisognava dunque che la morte cessasse d’impaurire, cessasse di dimorar sotterra co’ lemuri e co’ fantasmi. Bisognava ch’essa entrasse nella vita a convivere familiarmente co’ giovani ardenti e belli, con le floride fanciulle; lasciasse l’ombre de’ cimiteri per assidersi alle mense convivali coronata di mirto, e venisse a danzare vestita di candidi veli ne’ balli della vigilia. Perciò il poeta era nato ad amare di amor costante e a cantare bellissima fra le belle la Morte. — Oh lui felice, che potea dare ai tempi ciò che i tempi gli chiedevano! — Poichè, o signori, c’è questa differenza immensa fra i tempi nostri e i tempi del Prati: oggi è il poeta che ha bisogno della società; allora era la società che avea bisogno del poeta. Quella società, quegli uomini chiedevano speranze e illusioni, oblio del reale e fantasie, tripudio di conviti e d’armi, estasi di amore, gioia di vivere e gioia di morire. Credevano nell’avvenire, nella gloria, nell’immortalità, nella patria e in Dio. Sapevano gustare così un impeto di furore, come la carezza d’un sogno; la sanguinosa vendetta di un’ingiuria, quanto il conforto della preghiera e la pia tenerezza della benedizione materna.

E quella società così giovane e balda, così entusiastica, spensierata e appassionata, che con gli occhi fissi in una meta, invasa da un’eroica follia di martirio e di gloria, correva anelando e palpitando alle cruente agonie quasi a festa nuziale, voleva che tutto quanto questo goliardico poema fervente nel suo petto, risonasse come un gran coro universale sotto il cielo azzurro, dall’alpi alle marine, per tutta la sacra terra cui gli eventi approssimando mattinavan sull’alba del dì fatale il divin nome di Patria.

Ai morituri dell’italico Antela non giovavano le cetre