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E se i carducciani nervi d’acciaio, sotto al sorvolante soffio lirico romantico, mandarono ancora sì veemente suono, convien dire tenesse quel soffio alcun che della vitale aura divina, la quale, dovunque spira, infonde l’anima e crea.

Quando una stagione letteraria produce un frutto opulento e copioso quale nell’ultima stagione romantica il Prati, non è a sperare null’altro dalla sua feracità; le sue energie sono emunte, i suoi succhi sono esausti. E chi ne vuole la prova, vegga se gli riesce di risuscitare accanto ai versi vivi del Prati, i versi morti dell’Aleardi. La vita di quei versi è nel cuore del romanticismo, nell’infocato palpito della ideal verità, che incarnandosi inviscerò nell’arte la natura, e divenne passione.

Dal vario clima e dal vario suolo in cui avea poste le sue secolari radici, la pianta del romanticismo ricevette quel vigor vario d’umori, che produsse nelle letterature europee la fioritura più moltiplice, strana e brillante: dalle fantasie sentimentali del Young all’eclettismo pan-romantico di Augusto Schlegel, dall’eslege naturalismo iperboreo, che compì la sua rivoluzione nei Masnadieri, nel Manfredo e nel Werther, alla rivendicazione del buon senso e della realtà oggettiva nell’opera dello Scott. In Italia, e segnatamente nella Lombardia, il romanticismo si radicò nel terreno suo più felice, più sano, dove in tutti gli elementi buoni di natura e nelle libere forze erano originariamente compenetrati i germi immortali della verità e della libertà cristiana. Per questo la feconda passione romantica si elevò qui ad ideali divini. Per questo il libero