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ste famiglie di poeti il filone atavico; ho sott’occhio, pur nelle singolarità originali onde ciascuno si differenzia, il costante riprodursi d’una plasma, nella quale certe affinità elettive della ragione e della fantasia costantemente ricompariscono. Mi ricorrono in mente e i poeti greci e i latini e i caledonj, gl’innografi medievali della Chiesa e la Bibbia, il mito e la storia, la classica paganità e il neogentilesimo del rinascimento; ho insomma davanti a me quasi un prezioso antifonario custodito da mille anni, nel quale i poeti pensatori hanno decifrato il corale, per cantare con voce nuova gl’inni della terra e del cielo.

Ma dite, o signori, chi ha insegnato al fanciullo di Dasindo, errante per boschi e pascoli, fra gli echeggiati tintinni delle mandre e il tripudio delle cacce, chi gli ha insegnato a tender così le intatte e gagliarde sue fibre di poeta, che a guisa d’un organo sonante, bevendo la grand’aria di montagna, s’apprestasse l’anima sua a sinfoneggiare e tutta nella pienezza de’ suoi accordi rendere la sublime poesia del monte? Chi gli ha insegnato ad armonizzare in un concento etereo il mugghio dei turbini e i fragori degli abissi con le canzoni pastorali e i trepidi belati delle agnelle e lo stormir de’ faggi e l’aliar di celestiali piume? sì che tu odi in questa nuova musica, non mai prima cantata, fondersi in una sinfonia maravigliosa le sampogne teocritee e le virgiliane, la cetra dei bardi e le arpe ossianiche, e il corno di Roncisvalle, e le avene boscherecce e il canto dei tre fanciulli, che nell’amenità del mattutino svegliarsi in riva al chiaro fiume, riconfortò la smarrita dolente Erminia?

Chi mai ha insegnato al bardo ventenne, che con Elina al cembalo riprendeva i motivi schilleriani di Laura alla spinetta, chi gli ha insegnato a scostarsi del tutto,