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     Deh, questo legno che nel sen ti varca,
Mar della morte, in tua tutela il piglia!
Forse un’anima eccelsa è in questa barca,
Splendido mare, che alla tua somiglia:
Nembosa, eterna, di procelle carca,
Come la tua, che del Signore è figlia:
Del fiero Iddio, che la cerchiò d’un nembo,
Temprolla in fiamme, e te la pose in grembo.


Ah, signori, lasciamo che i critici d’arte giudichino quanto si distacchi, quanto s’assomigli il poeta nostro, nella spontaneità e nell’armonia pittrice del canto, al Lamartine, all’Heine, al Moore, allo Swinburne, al Tennyson. Rimarrà sempre per l’equazione dei rapporti qualcosa d’irriducibile, che il cielo d’Italia e la lingua di Dante dettero al canto del Prati: gli rimarrà sempre la magnifica semplicità delle cose che in natura nascono belle.

Un grande poeta lirico è un veggente dall’occhio divinatore e dalla parola profetica, il quale vede di là dai tempi le cose che verranno, e spesso annunzia ciò che si nasconde ancora in grembo al destino. Nè questo altissimo dono d’ispirazione mancò al genio del Prati; il quale, accompagnando col suo canto trentacinque anni di storia del risorgimento nazionale, fu talvolta verace profeta; e ben disse un suo illustratore, che ne’ suoi Canti politici egli ebbe per la patria “ammonimenti terribili e presagi stupefacenti.”

I grandi poeti lirici delle età sociali creative, portaron sempre con sè un raggio di fede, vita dell’anima; ebbero sempre dominante nel fondo della loro natura e inestinguibile il sentimento religioso, fonte d’ispirazioni sublimi; possedettero la coscienza morale dell’uomo retto, che è il principio del decoro dell’arte; possedettero l’in-