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religiosa negl’Inni Sacri, erano veramente le tre sorgenti perenni, onde il più grande dei romantici ristorava nella letteratura quel vero eterno, che Dante, abbandonata la speranza di poterlo in terra scoprire giammai, era ito a cercare, esploratore divino, nelle profondità misteriose della morte e dell’infinito.

E al tempo del Manzoni, e dopo di lui, erano sorti a dar voci canore a tutti gli affetti, a tutte le mestizie, le speranze, le brame, le ire e le rivolte, le estasi e i presagi, che sempre più possenti agitavano l’anima italiana, erano sorti a disfogare nel canto quella mazziniana veemenza di passioni e d’ideali, uno stuolo di poeti e grandi e minori, onde a nessuna regione d’Italia tacque il verso della libertà e della patria. Il Giusti, il Niccolini, il Poerio, il Carrer, l’Aleardi, il Mamiani, il Mameli, il Dall’Ongaro: qual coro augurale levossi salutando nel suo natale epico la rivendicata indipendenza d’Italia! Pure, se oggi tendendo l’orecchio a quel coro, noi ci rappresentiamo tutta la vastità e la forza del latente conato di spiriti, che venìa maturando le sorti della nazione; se ripensiamo i repressi moti e le riardenti speranze, le dubbiezze e gli sconforti, la febbre dell’attesa, i taciti ardori della preparazione, e i sacrifizj e le lotte, e i delirj dell’apoteosi all’inceder trionfale degli eventi, che aveano alfine trovata la loro via; se noi, dico, guardando a quel concitato e mirifico mondo, a parlar del quale sembra oggigiorno a taluno si parli di una mitologica impresa, vogliamo tuttora coglier nell’alto le voci de’ poeti ch’io venni testè nominando, oh come nei più par divenuto ormai fioco il primitivo suono! talvolta persino là dove ronza ancor agitato da viva mano il satirico staffile del Giusti, come là dove l’elegia dalle sparse