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24 Luigi di San Giusto


Così questo mondo femminile del Cinquecento ci presenta i più strani contrasti!

Elette virtù, costumi gentili e puri, in mezzo alla più sfacciata ostentazione del vizio. Ma sopratutto, in generale, uno squisito ardore di rinomanza, un desiderio di emergere non solo per le comuni grazie muliebri, ma per quelle doti che erano parse sino allora riserbate agli uomini, un’avida brama di imparare, di gustare del frutto proibito, che fu solo domata dalla controriforma e dalla paura dell’Inquisizione. Questa fu che ricondusse la donna al confessionale e al timido focolare domestico, e preparò la secentista bacchettona e ignorante, ma non certo più casta di quel che fossero state le libere gaie impudiche o virtuose ragionatrici e rimatrici del Cinquecento.

Con le quali, se il discorrere in poesia era castigato e platonico, secondo i canoni non trasgressibili del Petrarca, si parlava in prosa assai liberamente. Lo stesso Castiglione, gentiluomo perfetto, non si perita di narrare aneddoti scabrosi in presenza di dame che egli pur altamente stimava; e già vedemmo queste medesime oneste gentildonne non sdegnare l’amicizia delle cortigiane più note, e la saggia Veronica Gambara tenersi caro il fetido Aretino.

Un sensualismo ammantato di platonismo, un grande amore delle gioie della vita, questa, in fondo, è l’amabile filosofia muliebre del Cinquecento, alla quale gli uomini volentieri si