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18 Luigi di San Giusto

mensa, di gloriosa, di divina, donati largamente all’ingegno, poichè così si voleva dal codice nuovo che le donne avevan fatto.

Ma gli uomini, io penso, ci credevano poco, e quando la poetessa era scesa nella tomba, e nessuna attrattiva più di favori incatenava la schiera dei turibolanti, ecco dileguarsi l’ammirazione, e spegnersi la gloria che pareva imperitura.

Eppure, se si legge con occhio acuto e non malevolo quella caterva di rime petrarcheggianti sgorgate dalle penne femminili del Cinquecento, qualcuna pur ve n’ha che apre l’adito a considerazioni non volgari su quelle note artificiose e scolorite. Sprazzi d’anima si rivelano qua e là; qualche piccolo brano di cuore, qualche sentimento sincero. Non osavano rompere i lacci del gusto comune, affermare una personalità spiccata, dire schiettamente quello che pensavano, e attingere alla fonte del vero.

Parole, parole, parole! anche quelle della divina Vittoria. Una sola fu grande, e sarebbe stata grandissima, se il fantasma del Petrarca non le avesse ogni tanto tenuta la mano. E questa fu Gaspara Stampa.

Nelle altre manca, in genere, la nota schiettamente personale. È vero che Francesco Flamini dice che «le rime di Vittoria Colonna non si possono confondere con quelle degli uomini, perchè hanno qualche cosa nel tono e nei sentimenti che le distinguono». Ma propria e sincera femminilità non v’è.