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Gaspara Stampa. 13

e labbra sottili, come mai la cortigiana potè affascinare così stranamente i più eletti uomini fra i suoi contemporanei? Era virtù dei suoi fulgidissimi occhi, ai quali nessuno poteva resistere, o del suo vivo ingegno, che la faceva eloquente come Cicerone e soave come il Petrarca?

E che strano mondo era quello, che celebrava una cortigiana non già per la bellezza sua e per le seduzioni muliebri, ma piuttosto per le sue doti intellettuali, che la facevano non solo amare, ma sinceramente stimare, da uomini e donne di buoni costumi?

Questa donna singolare, inscritta nel 1549 nel libro della Tassa delle cortigiane, scriveva dei versi platonici. E quello che è più strano, i poeti che cantavano di lei, non si esprimevano altrimenti, che nel più puro stile petrarchesco.

«Ogni basso pensier spento in noi giacque,
e un bel desir, un dolce amor celeste
quel primo dì, che a noi gli occhi volgeste,
alteramente in mezzo al cor ci nacque».

Così le parla Ercole Bentivoglio.

E il Molza, uomo di vita punto platonica, nel sonetto che comincia «Spirto gentil che riccamente,» esorta il nobile, chiaro intelletto di Tullia a che

«sempre guardando a la più bella parte
di sè, giammai non si rivolga a terra!»