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30 | l’argentina e gli italiani |
gli disse: — To’, voglio partire anche io! — E tutti e due con le loro donne sono venuti in America, come si fosse trattato di far due passi. Un contadino piemontese mi ha detto: — Ho emigrato perchè v’è qui mio fratello.
— Meno male! E dov’è tuo fratello?
— Non lo so. Ci scrisse tanti anni fa dalla Terra del Fuoco dove era occupato a tagliar boschi, poi non ha scritto più.
E quest’uomo, che non sa nemmeno cosa sia la Terra del Fuoco, che non conosce la sorte di suo fratello, lascia tutto e viene qua con i suoi figli, attirato dall’ignoto. Nessuno si è informato delle condizioni dell’Argentina oggi — già per molti America, Buenos Aires e Argentina sono sinonimi! — nessuno ha pensato a chiedere dei consigli alle autorità. Hanno tutti una grande diffidenza dei consigli, li ascoltano con l’aria di crederci e non crederci. La paura d’essere ingannati è caratteristica in loro; ad essa sola del resto i contadini debbono l’immeritata fama di scaltri. In ogni cosa che si dice temono un tranello. I più franchi domandano: — Ma voi che interesse avete a dirci così e così?
— Per il vostro bene!
Essi scuotono la testa increduli — e disgraziatamente non a torto — che il loro bene stia a cuore a qualcuno. Sono imbevuti di false idee leggendarie sulle favolose ricchezze del paese, la incredibile fecondità del suolo, la cortesia e bontà degli abitanti, sempre le stesse, che basterebbero da sole a provare l’esistenza di agenti catechizzatori.
Bisognerebbe ricercarne alcuni dopo un anno di America e rimandarli al paese nativo a narrare sinceramente le loro avventure. Sarebbe il miglior rimedio contro questa emigrazione cieca e disordinata, senza organizzazione, senza guida, senza protezione, che è per la Madre Patria un grande dolore, e una ancora più grande umiliazione!