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gli allucinati 25


volta l’idea del paradiso; poi, nell’ora del disinganno, sono rassegnati per abitudine. Essi formano la vera ricchezza del paese; non esiste un «hijo del pais» che coltivi la terra: per lui c’è l’impiego, l’affare, la speculazione, il giuoco. È il lavoro dello straniero — e dicendo straniero si può quasi significare italiano — che ha sviluppato le risorse della terra, che ha reso possibili le industrie, attivato il commercio, creato in mezzo secolo l’Argentina d’oggi.

Questo Governo conosce il valore inestimabile dell’emigrante, la massima dell’Alberdi «gobernar es poblar» è sempre applicata: l’emigrazione è incoraggiata con opuscoli, con pubblicazioni, con conferenze tenute all’estero e principalmente in Italia; la diminuzione dell’emigrazione ha destato allarmi, provocato provvedimenti. Eppure, questa merce umana così preziosa, è ricevuta e trattata qui con molta meno cura dell’altra merce, quella in balle! Per le casse di carta o di cotone vi sono dei grandi edifici in muratura, dei docks superbi ventilati e asciutti, muniti di ascensori, ben situati sugli scali fra larghe vie in cemento. Per gli emigranti vi è una grande baracca di legno cadente e infetta, nella quale vengono condotti come mandrie all’ovile da inurbani impiegati.

L’«Hôtel» degli emigranti (lo chiamano Hôtel!) sorge su quella landa indefinibile, irregolare, fangosa, che sta fra il torbido e tempestoso Rio della Plata e la città, una striscia di terra che si direbbe la zona neutra fra il possesso delle acque e quello degli uomini. Tutto intorno dei pantani putridi coperti da una superba vegetazione acquatica mettono un po’ di verde sul piano squallido e un po’ di miasmi per l’aria.

L’«Hôtel», di legno, ha una forma strana, sem-