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concludendo sull’argentina 223

Il popolo argentino tiene immensamente all’apparenza. «Il nostro ideale non consiste nell’acquistare valore» — ha scritto un uomo politico argentino, Agostino Alvarez — «ma nell’acquistare importanza». È una caratteristica tutta spagnuola questa, di coprire fieramente con un bel mantello tutte le proprie macchie e le proprie miserie. Sempre negli scritti e nei discorsi traspare il pensiero: Che si direbbe all’estero se si sapesse che....? L’«estero» è per loro come l’opinione pubblica per un privato. Quanta gente non fa del male non perchè non ne avrebbe voglia, ma perchè ha paura che si sappia? Così gli argentini agirebbero forse meglio se sapessero di essere osservati. E a noi importerà poco che il bene venga consigliato dall’orgoglio e dall’amor proprio piuttosto che dalla convinzione, purchè il bene venga.

È così vero questo, che ora, in seguito a pubblicazioni sulle cose argentine fatte dalla parte più seria ed autorevole dalla stampa inglese, pubblicazioni nelle quali la Giustizia, le amministrazioni, il Governo, le finanze dell’Argentina venivano crudamente descritti, sono cominciate laggiù serie discussioni sopra nuove e importanti riforme.

Le riforme forse non verranno, ma se ne parla, e questo per l’Argentina è già un bel risultato dovuto tutto al controllo dell’opinione pubblica straniera, che per gli argentini è una cosa tanto nuova quanto fastidiosa.

Noi più degli inglesi abbiamo interesse, non solo, ma dovere di tenerci informati delle faccende argentine. Essi vigilano i loro capitali; noi abbiamo da vigilare i nostri fratelli. La differenza è infinita. Le disgrazie inglesi nell’Argentina sono scritte in belle cifre al «dare» del libro mastro: non esiste cifra che possa segnare il valore di tutti i dolori, le angoscie, le disperazioni, le lagrime e il sangue, che formano la somma delle disgrazie nostre.